In
questi giorni il canale televisivo Rai Storia presenta e promuove i suoi
interessantissimi programmi con un motto molto significativo e condivisibile: “Il
futuro è un viaggio nel passato”; se non si conosce la storia si corre il
rischio di costruire il futuro su basi incerte e non vere, quindi la
probabilità di un fallimento delle nostre attività future è molto elevata.
Le
vicende che hanno portato al riconoscimento della tipicità del Parmigiano
Reggiano e del Grana Padano sono un esempio di come è stata “manipolata” la vera
storia dei formaggi tipo grana.
Sulle
home page dei due consorzi ci sono due frasi che fanno riflettere.
Sul sito
del Consorzio del formaggio Parmigiano Reggiano (https://www.parmigianoreggiano.com/it) è messa in evidenza la scritta: “Parmigiano Reggiano Quello
vero è uno solo”
“Da
quasi mille anni abbracciamo i valori italiani” è la scritta che viene
evidenziata sulla homepage del consorzio del Grana Padano. (https://www.granapadano.it/it-it/)
Entrambe
queste affermazioni non sono vere, e in questo post lo spiegherò sulla base di
una documentazione storica difficilmente contestabile.
Il
Parmigiano-Reggiano è uno dei formaggi di tipo “grana” e la sua origine è
conseguenza di un atto legislativo come ho evidenziato nel post del 22 agosto
2024.
Preso
atto del provvedimento legislativo che ha riconosciuto il Parmigiano-Reggiano il
22 dicembre del 1955 viene pubblicato sulla GU il DPR 1269 del 30 ottobre 1955 nel
quale viene riconosciuto il Grana Padano.
La
legge, quindi, sancisce che i formaggi grana “tipici” sono due.
Nel
prospetto in calce al post metto a confronto le caratteristiche dei due grana così
come indicato nel DPR 1269 e si potrà constatare come diventa difficile affermare
quale dei due è veramente “tipico”.
La
tipicità, quindi, non è più il risultato di un know-how tradizionale che utilizza in modo esclusivo le risorse di un territorio
definito, cosa avvenuta nel corso di un millennio, ma conseguenza di un atto legislativo.
Se la
tipicità di un prodotto viene definita dalla legge, la modifica della legge garantisce
la tipicità formale del prodotto, ma non certamente quella sostanziale.
Capite
bene il paradosso, ovvero, nel tempo la legge viene modificata per adeguarsi
alle innovazioni tecnologiche e soprattutto per nuove esigenze del mercato,
quindi il prodotto cambia ma, data la legge, il formaggio, o il prodotto, è
sempre considerato tipico come se nulla sia cambiato rispetto ad un contesto originale.
La
tipicità diventa, pertanto, una opportunità per elaborare strategie di marketing
più o meno aggressive con l’obiettivo principale di attrarre il consumatore come avviene per qualunque prodotto immesso sul mercato.
Il
Parmigiano Reggiano è veramente il formaggio grana “vero”?.
Elia
Savini dell’Istituto Sperimentale di Caseificio di Lodi pubblica nel 1947 la
seconda edizione di un piccolo volume che titola” Il formaggio di grana”.
(Tipografia “La Moderna” – Lodi)
Nell’introduzione
scrive: “Si chiama grana quel formaggio tipico italiano cotto, ad acidità di
fermentazione e a maturazione lenta, che è caratterizzato dalla struttura granulare
della pasta a frattura concoide, carattere questo che ha determinato il suo
nome, e che unitamente alla sua fragranza, al sapore aromatico, gradevole e sostanzioso,
al suo profumo intenso, alla squisita sua bontà, come alla sua durezza e alla
sua resistenza, alla notevole massa di latte occorrente nella fabbricazione,
come alla lunghezza della sua maturazione ed alle difficoltà della sua
tecnologia, ne fanno uno dei principalissimi tipi di formaggio, per cui nessun
altro tipo di cacio lo può avvicinare ed eguagliare.”
Il Savini
prosegue mettendo in evidenza come le caratteristiche di cui sopra sono
ovviamente condizionate dalle specifiche caratteristiche delle zone nelle quali
viene prodotto ed è per tale ragione che: “Così si ebbero, in epoca recente
(1947 n.d.a), le denominazioni di: grana lodigiano (per estensione anche grana
lombardo), per quello caratteristico del circondario di Lodi e della Bassa
Lombardia; e di grana reggiano-parmigiano, per quello fabbricato per quello
fabbricato nelle provincie omonime e nelle zono a queste finitime.”
Nella nota
storica il Savini si pone la domanda di dove e quando è iniziata la fabbricazione
del formaggio grana. Vi sono testimonianze documentali di una produzione casearia
databile tra il X e XI secolo e in un così lungo periodo di tempo si sono affinate
ed evolute tecniche casearie differenti e strettamente legate al territorio e alla
necessità di disporre una grande quantità di latte, quest’ultima condizionata
allo sviluppo dell’allevamento bovino. Proprio per queste ragioni ritiene che: “…
le polemiche che ogni tanto affiorano e che ritornano a seconda delle
fortune di questo formaggio, lasciano il tempo che trovano e non possono
risolvere la vexata quaestio, e cioè, dove è nato il formaggio grana?”
Dagli
anni ’50 ad oggi ci sono state evoluzioni normative importanti, soprattutto
quelle che si riferiscono ai regolamenti comunitari e l’istituzione del
riconoscimento europeo delle DOP (Denominazioni d’Origine Protette, primo regolamento è datato 1992) con la
emanazioni di disciplinari più rigorosi e dettagliati.
A dimostrazione
che la tipicità è diventata uno slogan pubblicitario è bene riflettere sui dati
che presento nella seguente tabella riferiti alla produzione di formaggio “grana
Produzione di formaggio
"grana" nella provincia di Reggio Emilia
|
Anno
|
Caseifici
|
Latte lavorato
Q.li
|
Forme
prodotte
|
Formaggio prodotto
Q.li
|
1869
|
272
|
195.922
|
33.778
|
10.133
|
1953
|
n.d
|
1.700.000
|
425.000
|
127.500
|
2023
|
77
|
6.172.117
|
1.217.380
|
492.436
|
Fonte
dei dati:
1869 – Bollettino del Comizio Agrario del circondario di
Reggio Emilia – Anno v. dicembre 1872 – numero 6 – Risposta della Presidenza
alla circolare ministeriale n. 193
1953 – Elaborazione sui dati illustrati dal Prof. Folloni,
Ispettore compartimentale della regione Emilia-Romagna pubblicati sulla “Gazzetta
Agricola” del 23 novembre 1953 – n° 67.
2023 – Elaborazione su dati del Consorzio del formaggio
Parmigiano Reggiano (sito web)
Per fare
considerazioni sui i dati della produzione di formaggio su un periodo di oltre
150 anni si dovrebbero analizzare molte variabili, dalle tantissime innovazioni
tecnologiche alle evoluzioni socio-economiche, però qualche riflessione si può
fare.
L’incremento
produttivo dal 1869 al 1953 (aumento di 12 volte) è avvenuto in totale assenza
di una normativa sulla tipicità e senza dubbio l’applicazione delle conoscenze
in campo tecnologico hanno avuto un peso importantissimo. Il formaggio dell’800
non era come quello di oggi, ad esempio, per conferire il colore giallo si
aggiungeva lo zafferano, le quantità di latte erano talmente modeste che in
quasi tutti i caseifici il formaggio si faceva con il latte di due e più giorni,
le bacinelle di affioramento erano di legno, il siero innesto, per migliorare
la qualità del formaggio e ridurre gli scarti (si dice superiori al 20%) viene adottato
solo al nei primi anni del ‘900.
La
produttività era bassissima tenuto conto che il 60% della popolazione della
provincia, ca. 250 mila persone sulla base del censimento del 1871, era dedita
alla attività agricola.
In 160
anni la popolazione è raddoppiata ma il prodotto è aumentato di 50 volte e solo
il 3% della popolazione è oggi dedita ad attività agricole.
Dal 1953
l’aumento della produzione è di quasi 4 volte ed è avvenuto in un periodo di
regolamentazione della tipicità, forse, il formaggio ha caratteristiche simili,
ma il sistema produttivo è completamente cambiato, dall’allevamento al caseificio.
Le vacche del ’53 producevano sui 33 q.li di latte oggi si passano i 100 q.li. Nella
sola provincia di Reggio Emilia poco meno di 200 allevatori producono il 70 %
dei 6 milioni di q.li di latte. Oggi il formaggio si produce tutto l’anno,
il 50% dell’alimento è rappresentato da mangimi concentrati le cui materie
prime sono quasi tutte importate, i prati polifiti sono stati sostituiti da
erbai ad elevata produzione. I caseifici di oggi non sono certo quelli degli
anni ’50. Mediamente un caseificio produce 55 forme al giorno, ma ce ne sono di
quelli che ne producono più di 150. I magazzini sono tutti dotati di impianti
di condizionamento, le vasche per la salamoia sono del tipo ad immersione
totale della forma, la pulizia delle forme è completamente robotizzata.
In
questi ultimi anni il sistema di vendita porzionato è stato completamente
rivoluzionato da macchine che sono in grado di porzionare il prodotto in
confezioni di qualche etto (200-300 gr) è la tradizionale “punta” da chilogrammo
è praticamente sparita dai supermercati che si trovano fuori dalla zona tipica.
La crescita
a dir poco esponenziale è stata possibile, solo perché anziché fare riferimento
al know-how tradizionale si è fatto leva sulla
modifica continua e costante delle norme (disciplinari) sulla base delle
esigenze del mercato in sfregio alla tipicità del prodotto e dei sistemi di
produzione.
Veniamo
ora al motto del Grana Padano: “Da quasi
mille anni abbracciano i valori italiani”.
In
questo caso le osservazioni a carattere storico sono importanti. A quale Italia
si riferisce l’anonimo estensore della frase? Non certamente a quella di Roma,
la caduta dell’Impero Romano d’occidente è datata 476 d.c. e da allora fino al
1861 è difficile parlare d’Italia. Il Grana Padano viene prodotto nelle regioni
del nord, Piemonte, Lombardia (una parte) Veneto, Trentino ed Emilia Romagna
(una parte) come fa la produzione del Grana Padano ad abbracciare i valori del
resto dell’Italia.
Se i “valori”
non sono quelli che si basano sul territorio si fa forse riferimento a quelli
etici e morali? Anche in questo caso l’italianità è piuttosto lacunosa e
carente. Fino allo scisma luterano del 1521 la chiesa di Roma non era certo
esempio di virtù. Papi e cardinali si comportavano peggio di certi monarchi
guerrieri. Solo il grande monachesimo francescano e benedettino hanno saputo tener
fede al messaggio evangelico. In epoche più recenti le grandi rivoluzioni,
dalla dichiarazione d’indipendenza delle colonie americane, la rivoluzione
francese del 1789 e quella russa del 1917 hanno completamente rimodellato
valori etici, morali e sociali della nostra società. Tutti questi movimenti di
italiano hanno ben poco.
Il motto
del Grana Padano, non essendo definito è pertanto ambiguo e inconsistente, una pura e semplice campagna di marketing.
Se si fa
un “viaggio nel passato” sulla base di notizie
falsificate e non vere quale mai potrà essere il futuro !!.
Prospetto:
Confronto delle caratteristiche qualitative e produttive dei due formaggi “grana”
riconosciuti dal DPR 1269 del 1955
Aspetti
quali-quantitativi
|
Parmigiano-Reggiano
|
Grana Padano
|
Caratteristica
|
Formaggio
semigrasso a pasta dura, cotta ed a lenta maturazione, prodotto con coagulo
ad acidità di fermentazione, dal latte di vacca, proveniente da
animali, in genere, a periodo di lattazione stagionale, la cui alimentazione base
è costituita da foraggi di prato polifita o di medicaio.
|
Formaggio
semigrasso a pasta dura, cotta ed a lenta maturazione, prodotto con coagulo
ad acidità di fermentazione, da latte di vacca la cui alimentazione base è
costituita da foraggi verdi o conservati,
|
Mungitura
|
Viene
impiegato il latte delle mungiture della sera e del mattino, riposato e parzialmente
scremato per affioramento.
|
proveniente
da due mungiture giornaliere riposato, e parzialmente scremato per
affioramento
|
Periodo
di produzione
|
Si
fabbrica nel periodo compreso tra il 1° aprile e l’11 novembre
|
Si
fabbrica tutto l’anno
|
Cagliatura
e salatura
|
La
cagliatura è effettuata con caglio di vitello. Non è ammesso l’impiego di
sostanze antifermentative. Dopo qualche giorno si procede alla salatura, che
viene praticata per 20-30 giorni
|
Non indicato
|
Maturazione
|
La maturazione
è naturale e deve protrarsi almeno fino al termine dell’estate dell’anno
successivo a quello di produzione,
|
La
maturazione naturale viene effettuata conservando il prodotto in ambiente con
temperatura da 12 a 22 °C
|
Resistenza
alla maturazione
|
per
quanto la resistenza alla maturazione sia anche superiore
|
Da uno
a due anni
|
Utilizzo
|
Il
formaggio stagionato è usato da tavola o da grattugia e presenta le seguenti
caratteristiche
|
Formaggio
da tavola o da grattugia
|
Forma
|
Forma
cilindrica a scalzo leggermente convesso o quasi dritto con facce piane
leggermente orlate
|
Forma
cilindrica a scalzo leggermente convesso o quasi
dritto con facce piane leggermente orlate
|
Dimensioni
forma
|
Diametro
da 35 a 45 cm, altezza dello scalzo da 18 a 24 cm.
|
Diametro
da 35 a 45 cm: altezza dello scalzo da 18 a 25 cm. Con variazioni per entrambi
in più o meno, in rapporto alle condizioni tecniche di produzione
|
Peso
|
Peso
minimo della forma kg. 24.
|
Peso da
24 a 40 kg. Per forme. Nessuna forma deve avere un peso inferiore a kg 24.
|
Confezione
esterna
|
Tinta scura
ed oleatura
|
Tinta scura
ed oleatura
|
Colore
della pasta
|
Da leggermente
paglierino a paglierino
|
Bianco
o paglierino
|
Aromi
e sapori
|
Aroma
e sapore della pasta caratteristici: fragrante, delicato, saporito ma non
piccante
|
Aroma e
sapore della pasta caratteristici: fragrante e delicato.
|
Struttura
della pasta
|
Struttura
della pasta: minutamente granulosa, frattura a scaglia; occhiatura minuta,
appena visibile.
|
Struttura
della pasta: finemente granulosa,
frattura radiale a scaglia;
occhiatura: appena visibile.
|
Spessore
della crosta
|
Spessore
della crosta: circa 6 mm
|
Spessore
della crosta: da 4 a 8 mm.
|
Grasso
sulla sostanza secca
|
Grasso
sulla sostanza secca: minimo 32%
|
Grasso
sulla sostanza secca: minimo 32%
|
Zona
di produzione
|
Zona
di produzione: territori delle provincie di Bologna, alla sinistra del fiume
reno, Mantova alla destra del fiume Po, Modena, Parma e Reggio Emilia
|
Zona
di produzione: territorio delle provincie di Alessandria, Asti, Cuneo, Novara,
Torino, Vercelli, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova a sinistra del Po,
Milano, Pavia, Sondrio, Varese, Trento, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia,
Verona, Vicenza, Bologna a destra del fiume Reno, Ferrara, Forlì, Piacenza e
Ravenna,
|