La risposta razionale sta nei dati.
L’Ismea (Istituto servizi mercato agricolo alimentare) ha pubblicato il 9 marzo 2022 un breve rapporto dal titolo
Dinamiche fondamentali dei cereali e situazione degli scambi commerciali con
Ucraina e Russia. Potete consultarlo al link https://www.ismea.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11703.
Per chi non si vuole leggere il
rapporto di 11 pagine completo di facili tabelle esplicative e di grafici,
sintetizzo.
Importazione di grano duro, quello
che ci serve per fare la pasta, da Russia e Ucraina, quantità irrisorie, poche
tonnellate. Per informazione, la produzione di grano duro in Italia nel 2021 è
stata di poco più di 4 milioni di tonnellate.
Importazione grano tenero,
quello per fare pane, pasta (all’uovo) e pizza, da Russia praticamente nulla,
mentre dall’Ucraina importiamo poco più del 3% di tutto il frumento importato
(ca. 122 mila tonnellate). La maggior parte di frumento tenero che ci serve lo
importiamo dai paesi della UE. È preoccupante la possibile restrizione operata dalla
Ungheria da cui importiamo il 26% di tutto il frumento che ci serve. Ritengo
però che il possibile “blocco” delle esportazioni per ragioni economiche sia
illegittimo quindi assai difficile da attuare.
Importazione di mais, più
che per la polenta il mais ci serve per nutrire gli animali. Per questo cereale
la situazione è più preoccupante. Consumiamo poco più di 10,5 milioni di
tonnellate di mais all’anno, produciamo ca. 6 milioni di tonnellate e ne importiamo
4,5 milioni di tonnellate. Le importazioni di mais dalla Ucraina ammontano a 600 mila
tonnellate ca. il 13% del totale delle importazioni e il 6% del nostro
fabbisogno.
Nella tarda primavera dell’anno
scorso, quando la pandemia rallentava vistosamente e le campagne vaccinali incominciavano
a dare i primi significativi risultati, è iniziata una robusta ripresa di tutte
le attività economiche. Bene, tutti felici e contenti, ma proprio in quel
momento è incominciato un deciso rialzo dei noli per il trasposto delle
merci, subito dopo è iniziato l’aumento dei prezzi di alcune materie prime come
alcuni metalli, il petrolio, un poi il gas.
Le ragioni di questi aumenti erano sostanzialmente dovuti ad un aumento della domanda, impreviste, dopo tanto
blocco da pandemia.
Dopo l’estate la situazione
peggiora, l’aumento interessa tutte le materie prime. La ripresa della pandemia
in novembre non ha nessun effetto su questa situazione e l’aumento dei prezzi
delle principali commodity diventa esponenziale.
Tra le materie prime ci sono anche
i cereali e le proteoleaginose (colture come girasole, soia, colza, ecc..dalle quali si ottiene olio vegetale), il
prezzo arriva a livelli quasi mai visti.
Nei mercati quando si verifica un
aumento repentino della domanda è normale un aumento dei prezzi, ma quando il
prezzo raddoppia o triplica o come per il gas decupla, o giù di lì, allora vuol
dire che c’è qualche cosa di anomalo e preoccupante. Anche l’attuale e triste
contesto bellico non giustifica un tale aandamento.
Da questa situazione traggo due considerazioni
/ valutazioni.
La prima. È assolutamente
necessario contrastare questa ondata speculativa.
Vi ricordo che l’attuale situazione
dei mercati dei prodotti agricoli, è simile a quella del 2008 (leggi il mio
post http://www.nuovaetica.info/2008/04/la-crisi-alimentare.html)
anche se in un contesto completamente diverso.
L’ampia disponibilità di capitali
finanziari che gli Stati hanno messo a disposizione per contrastare la pandemia
può essere una delle ragioni di quanto sta succedendo. Non tutti i soldi “prestati”
sono, al momento, andati a buon fine. Inizialmente ne hanno goduto le borse. Ora,
c’è stato uno spostamento sulle materie prime. Occorre capire chi e come sta
facendo “incetta” di materie prime con l’obiettivo di generare l’attuale contesto.
Più c’è aspettativa al rialzo e più i grandi operatori sono poco propensi a immettere
i prodotti sul mercato. In questi momenti l’avidità domina i mercati, fare grandi
profitti con poca fatica, dopo la crisi pandemica, è un comportamento diffuso.
Io non credo al “grande burattinaio” quanto a un atteggiamento diffuso e
purtroppo condiviso.
Per evitare che ci siano troppi
capitali a disposizione degli speculatori è necessario incentivare gli investimenti
sia per i “grandi” che per i “piccoli”. Non faccio riferimento agli ennesimi “bonus
fiscali” ma diminuendo burocrazia e vincoli per tutti.
La seconda. Negli ultimi 40 anni,
in Italia, la superficie agricola destinata alle coltivazioni è diminuita del
26% perché non è conveniente coltivarla. (leggi: http://www.nuovaetica.info/p/informazioni-agrarie.html)
Questo aumento dei prezzi potrebbe
rendere nuovamente vantaggioso mettere a coltura cerealicola terreni attualemnte non coltivati. Se gli aumenti si
stabilizzano, non ai livelli attuali, ma ad un più 15-20% di quelli medi degli
anni precedenti molto probabilmente la nostra dipendenza dall’estero potrebbe
ridursi.
Molto più vantaggioso, da un punto
di vista economico, è migliorare la produttività. Non ci facciamo ingannare dai
falsi miti naturistici rappresentati da presunti aspetti salutistici dei grani
antichi tipo “Senatore Cappelli” scarsamente produttivi.
Riflettiamo anche sulla
coltivazione “biologica”. È risaputo che le rese sono inferiori e da un punto
di vista nutrizionale il prodotto biologico è identico a quello convenzionale.
Ridurre le produzioni e quindi il
grado di approvvigionamento non è una strategia da perseguire in questo
momento.
La situazione bellica ci ha fatto
comprendere che è bene dotarsi di adeguate scorte “strategiche”. Queste ultime
non si realizzano in tempi brevi ed inoltre conservare ad esempio i cereali è
costoso. Le politiche agricole della UE destinano grandi risorse per integrare
il reddito degli agricoltori. Se i prezzi aumentano migliora anche la
redditivtà delle imprese agricole, si potrebbe allora destinare parte dei fondi
UE alla costituzione di scorte adeguate senza ulteriori oneri.
Maggiori scorte varrebbe dire anche
riuscire a stabilizzare i mercati.