Il 22
gennaio 2020, poco prima che “scoppiasse” la pandemia da Covid-19 ho scritto
due post che riguardano il futuro demografico dell’Italia. (vedi https://www.blogger.com/blog/post/edit/21348721/6948012007139774691). I due post prendevano in
considerazione due studi previsionali sulla popolazioni, il primo realizzato
dall’ONU che stima la popolazione mondiale, per area geografica e nazione al
2100; il secondo dell’Istat stima la popolazione italiana dal 2018 al 2065.
Le stime
sulla popolazione fatte dai due studi non sono coincidenti, ma mettono in
evidenza come la popolazione italiana sia in calo. Al 2065 l’ONU stima per
l’Italia come molto probabile una popolazione di 48,5 milioni di abitanti
mentre l’Istat più ottimisticamente ne stima 53,7 milioni.
Il 9 luglio
scorso il Presidente dell’Istat prof. Gian Carlo Blangiardo ha illustrato il “Rapporto
annuale 2021. La situazione del Paese”. La pubblicazione è disponibile sul sito
dell’Istat all’indirizzo https://www.istat.it/it/archivio/258983. Il tomo di 271 pagine descrive la
situazione del paese tenuto conto degli effetti della pandemia. Tra i vari
argomenti a carattere economico e sociale si fa riferimento alle dinamiche
demografiche natalità, mortalità e flussi migratori sia interni che esterni.
I dati
diffusi sono dettagliati per quanto riguarda la natalità e la mortalità. Nel
2020 si registra un minimo storico nella natalità, poco più di 400 mila nati,
un picco della mortalità con oltre 740 mila morti, che rappresenta un massimo
dopo l’ultimo conflitto mondiale. In modo molto più sfumato viene trattato
l’aspetto dei flussi migratori. Una nota di Istat afferma che le attuali
elaborazioni hanno ancora un carattere provvisorio perché è necessario del tempo
per analizzare le differenti posizioni e situazioni.
Sul sito
dell’Istat (http://dati.istat.it/#) sono
già disponibili i dati sulla popolazione residente al 1° gennaio 2021 e analizzando
il periodo 1° gennaio 2019 – 1° gennaio 2021 possiamo quantificare gli effetti
globali della pandemia in termini di popolazione.
I dati sotto
riportati tengono conto della natalità, della mortalità e del saldo anagrafico
dovuto alla migrazione e ad altri motivi:
Anno |
Popolazione
al 1° gennaio |
2019 |
59.816.673 |
2020 |
59.641.488 |
2021 |
59.257.566 |
La
differenza tra la popolazione presente il 1° gennaio 2019 e quella presente il
1° gennaio 2021 è pari a 559.107 individui. Il calo della natalità e l’aumento
della mortalità sono noti ma la variazione così rilevate è dovuta al crollo dei
flussi migratori.
Faccio presente
che il numero di abitanti “persi” corrisponde alla intera popolazione di una
provincia come Cuneo, (detta la provincia “grande”), Como, Pavia, Reggio
Emilia, Firenze, Salerno e Catania.
Se il calo
demografico dovesse mantenere un simile trend nel “fatidico” 2050, anno nel
quale l’Europa e di conseguenza l’Italia diventa tutta “green” la popolazione
sarebbe di poco superiore ai 30 milioni.
Questo scenario
è, a mio parere, sconvolgente.
Diventa
quasi inutile mobilitare enormi risorse per il “green deal”, il calo della
popolazione e quindi dei “consumatori” si ripercuote su ogni aspetto di questa
società. Minori consumi energetici, minori consumi alimentari e quindi più
terra a disposizione per una nuova forestazione con conseguente cattura naturale
del carbonio. Minore impatto di tutti i mezzi della produzione. Si dovranno
ridefinire modelli di distribuzione territoriale degli abitanti. In primo luogo
si dovrà decidere se favorire la presenza della popolazione anche nelle aree
rurali che naturalmente si andranno a spopolare.
La presenza
antropica è importante per evitare, nel breve periodo, gravi fenomeni di
dissesto dovuti alla mancata manutenzione e salvaguardia di ambienti che con l’abbandono
dovranno “ritrovare” nuovi equilibri ambientali, che si ottengono in tempi molto
lunghi.
Il peso
economico relativo dell’enorme indebitamento che stiamo facendo oggi per
investimenti “green” potrebbe diventare insostenibile per le generazioni future.
Il calo demografico
riguarderà soprattutto i giovani o comunque gli individui in età lavorativa e
saranno proprio queste fasce di età a dover sopportatore oneri fiscali
rilevantissimi. È difficile pensare che gli anziani possano essere gravati di
oneri fiscali rilevanti tenuto conto che avranno compensi previdenziali ridotti.
Ricordo che il sistema pensionistico italiano si finanzia con la forza
lavorativa in essere e solo una parte deriva dagli accantonamenti fatti durante
il fase lavorativa. Una situazione di questo tipo potrebbe diventare
socialmente lacerante e foriera di tensioni paragonabili a quelle che hanno
portato alla Rivoluzione Francese, soffocante peso dello stato e rilevanti
diseguaglianze socio economiche.
In termini
economici e finanziari un orizzonte temporale si 40 anni è di lungo periodo ma assolutamente
compatibile con moltissimi tipi di investimenti. Chi compra oggi una abitazione
di nuova costruzione considera di poterla usare anche tra 40 anni. Per quasi
tutti gli investimenti strutturali pubblici, strade, ponti ferrovie, scuole,
ecc.. si considera un tempo compreso tra i 30 e i 50 anni.
Ai nostri
politici tanto impegnati nelle politiche “green” chiedo di tener conto degli aspetti
demografici per fare scelte più ponderate e “sostenibili”.