80 euro in più in busta paga non poi pochi, certo il momento
è difficile, ma per le famiglie a basso reddito possono rappresentare una
“boccata d’ossigeno”.
Forse gli arretrati da pagare, bollette, tasse, balzelli
vari, ecc ..sono talmente tanti che di questa cifra ben poca cosa è stata
destinata ai consumi.
Le critiche a Renzi si riferiscono al fatto che non tutti
sono stati beneficiati, ma chi dice questo non tiene conto del meccanismo
adottato.
Non si è trattato di un aumento di stipendio ma di una
riduzione delle tasse a carico del lavoratore, ovvero dei lavoratori dipendenti
il cui reddito è al di sotto di una certa soglia.
Occorre spiegare, in termini elementari come si determina il
costo del lavoro.
Il salario lordo di un dipendente rappresenta l’imponibile
con il quale si calcola, mediante aliquote, l’ammontare delle imposte e dei
contributi previdenziali a carico del lavoratore, questi due “balzelli” sottratti
dal salario lordo sono versati dal datore di lavoro nel suo ruolo di “sostituto
d’imposta”. Sulla base dell’imponibile sono calcolati, sempre sulla base di
aliquote i contributi a carico del datore di lavoro.
Gli 80 euro del provvedimento Renzi provengono da una riduzione delle tasse a carico del lavoratore. Il salario netto per il lavoratore è aumentato senza alcun vantaggio per il datore di lavoro. In pratica il datore di lavoro anziché dare gli 80 euro allo Stato gli da’ al lavoratore.
Se il meccanismo vi è chiaro si comprende perché non sono
stati compresi i pensionati, la pensione è una rendita e non un salario, e i
lavoratori autonomi pagano l’IRPEF in funzione del reddito ottenuto dalla
differenza tra entrate ed uscite nell’anno solare e quindi è assai più
difficile applicare un meccanismo automatico come quello realizzato.
La crisi strutturale che sta attraversando l’Italia è anche
dovuta all’elevato costo del lavoro (forte incidenza delle tasse e degli oneri
previdenziali, il salario netto è meno del 50% del costo del lavoro) che si
riflette in una perdita di competitività e produttività.
Il provvedimento Renzi non ha nessun effetto sul costo del
lavoro, si vuole stimolare la crescita agendo sul consumo, ma in un contesto
così difficile i benefici si potranno vedere solo nel medio termine, quindi
bisogna aspettare.
Trarre conclusioni affrettate è solo dannoso.
Ben più preoccupante è il contemporaneo calo del PIL e la
deflazione.
Il PIL misura la ricchezza del Paese, se diminuisce vuol
dire che la nazione è più povera.
Per misurare l’andamento complessivo dei prezzi dei prodotti
venduti, occorre sottolineare di tutti i prezzi dei beni, sono stati elaborati
degli indici (la statistica ci fornisce strumenti assai affidabili di cui
sarebbe discutibile affermare la non validità), se l’indice aumenta, inflazione,
(aumento dei prezzi) se diminuisce deflazione (diminuzione dei prezzi).
Il prezzo di un bene può aumentare in ragione della sua
abbondanza o scarsità sul mercato e tutto ciò è positivo perché favorisce il
progresso, ma tutto ciò deve essere riferito ad un bene o ad un gruppo di beni
non a TUTTI.
Se tutti i prezzi sono diminuiti (deflazione) e
contemporaneamente il PIL è calato vuol dire che i consumatori non hanno soldi
per comprare i beni e quindi vi è un eccesso di offerta, il produttore per
vendere è costretto a ridurre il prezzo. I produttori non riescono neanche ad
esportare i beni, non essendo competitivi, e quindi riducono la produzione,
dato misurato dal calo del PIL.
I consumatori hanno speso meno ma non hanno neppure
risparmiato perché altrimenti la ricchezza sarebbe rimasta almeno invariata.
La stampa ha enfatizzato il fatto che il rendimento dei BOT
messi recentemente all’asta non è mai stato così basso. I risparmiatori ricevono
un bassissimo compenso per i capitali che posseggono e che sono stati investiti
in titoli di stato. Tassi bassi sono a vantaggio dello Stato, diminuisce la
spesa per interessi, ma riduce ulteriormente la capacità di spesa dei risparmiatori.
In un contesto simile è difficile credere ad una possibile
crescita economica nel breve periodo.
Condivido “il rigore” nei confronti della spesa pubblica, lo
Stato non si può far promotore dello sviluppo. Non credo in provvedimenti
keynesiani governati dallo Stato si corre il rischio di “drogare” l’economia e
non ne abbiamo certo bisogno.
Quello di cui abbiamo bisogno è la messa a disposizione di
una grande quantità di danaro per la costituzione di nuove imprese portatrici
di innovazione.
Ridurre drasticamente la burocrazia autorizzativa,
facilitare la realizzazione di imprese per il turismo, la tutela ambientale,
ecc…
L’Europa potrebbe avere un ruolo determinante in tutto
questo.
Più si aspetta e peggio sarà, speriamo che chi ci governa
non sia in vacanza, ed abbia modo di riflettere su ciò che va veramente
attuato.
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